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Due ore e ventiquattro

Bob (Roberto) e Valter

Il Bob ed io abbiamo imparato ad andare in canoa quasi per caso.

Ci conosciamo dalle elementari, poi lui è andato al Don Bosco per le medie, gli era morto il papà e sua mamma aveva dovuto trovarsi da lavorare, ci siamo ritrovati alle superiori, al Kennedy. Lui andava a pesca, io giocavo a pallavolo, poi, prima della maturità il mese di preparazione. L'abbiamo fatto in tre, lui, io e Mirco, nella casa di fronte a quella del Bob, una vecchia casa disabitata di cui custodiva le chiavi. Studio duro, al mattino dalle otto alle nove, poi Sandra, sua sorella, ci chiamava per il caffè. Dieci minuti e poi via a studiare di nuovo, ufficialmente, appena in casa si usciva dalla finestra sul retro e si andava lungo il fiume che era li a duecento metri. A mezzogiorno si tornava indietro, pranzo e poi dalle tre di nuovo a studiare. Quando rientravamo verso le sei, seduto all'ombra trovavamo Giovanni, il nonno del Bob che ci diceva “studiato oggi, eh?” con quel tono lieve di presa in giro di chi ti ha preso le misure per bene.

Passata la maturità, fatto il militare, trovato un lavoro, stessa compagnia, conosciamo un altro Giovanni, postino, che aveva una canoa. Lui non la usava più, così ce la prestò per provare. Era una canadese in vetroresina, nera, il primo giorno che l'abbiamo portata a casa siamo andati a provarla sulla Meduna, con Giovanni come esperto istruttore. "La prima cosa che dovete sapere è che la canoa biposto ha rotto tante amicizie". "Si pagaia sempre da una parte, uno a destra ed uno a sinistra". "Guida quello che sta dietro". Muniti di queste essenziali informazioni saliamo e lasciamo la sponda ghiaiosa, io davanti e Bob dietro, la canoa si rifiuta di stare dritta e si mette sempre in direzione opposta a dove vogliamo andare, boh. Proviamo a scambiarci di posto, già meglio, in breve, riusciamo a impadronirci della tecnica, almeno quel tanto che serve a portarci a riva.

Dopo la prima uscita facciamo una analisi del tutto, mica siamo “studiati” per niente, e decidiamo che per capirci qualcosa è meglio fare qualche uscita sul Fiume, a Cimpello vicino a casa del Bob. Corrente quasi nulla, non larghissimo ma abbastanza da manovrare la canoa anche per noi due. Detto fatto, andiamo, portando la canoa col carretto, partiamo e, avendo capito quasi tutto, facciamo il primo tratto in risalita, che dopo scendere è più facile. Dopo qualche centinaio di metri la prima curva, del fiume, noi ne abbiamo già fatte a decine, riusciamo a risalirla, una impresa, a poi avanti, almeno fino alle canne d'india, la prossima curva. Dalla riva ci seguono Sandra e Gegè (Davide) i fratelli di Bob. Gegè ci chiede di recuperargli un cucchiaino, un'esca che aveva lanciato su un cespuglio. Torniamo indietro, quando siamo al punto di sbarco scopriamo, ovviamente in modo empirico, che la canoa manovra molto meglio controcorrente.

Abbiamo scoperto un universo parallelo, in mezzo alla fatica spropositata che abbiamo fatto per fare quel mezzo chilometro di fiume ci siamo accorti che quello stesso fiume che andando a pesca ci pareva stretto e tortuoso, dalla canoa sembrava ampio, il mondo in alto sulle rive ridotto ad una porzione di cielo e alberi, il microcosmo acquatico fatto di alghe ondeggianti, qualche guizzo di pesce, uccelli che si nascondono o volano via, riflessi dell'acqua che, pian piano, ti spiegano dov'è la corrente e dove l'acqua è ferma. In pratica un guazzabuglio di sensazioni che stentiamo a mettere a fuoco, forse l'unica cosa chiara da subito è la prospettiva rovesciata.

L'uscita in canoa diventa il passatempo del sabato pomeriggio, la pratica aumenta, fino a quando non ci sentiamo pronti per il grande salto, la discesa da Fiume Veneto a Fiumesino. Sono dal Bob all'una del pomeriggio, carichiamo la canoa sulla 127 ed arriviamo a Fiume, l'unico posto che ci pare possibile come imbarco è in Tavella, dietro le case popolari. Mettiamo la canoa in acqua, e partiamo. Il primo tratto è lento, lo hanno raddrizzato una quindicina di anni prima, dopo lo “scontracanai” c'è un tratto che pare un'autostrada, poi, una curva a destra e subito una a sinistra e parte l'ottovolante. Il corso si restringe, dalle sponde si protendono grandi cespugli di salice che riducono ulteriormente il passaggio, la canoa prende la corrente ed accelera, facciamo alcune curve in velocità, dopo un pò riusciamo a fermarci per riordinare le idee. Fantastico, l'eccitazione supera di gran lunga la paura, ripartiamo con cautela, questo tratto del Fiume non lo conosciamo per niente, eccoci ad una curva ad U, ci sono dei rami affioranti ma passiamo, altre curve ed un passaggio in cui i salici lasciano veramente poco spazio, poi finalmente dei tratti più tranquilli, uno particolarmente bello, si viaggia sotto ad una volta di alberi con un salice maestoso alla fine. Usciamo con una curva a sinistra e dopo pochi metri ci vediamo il passaggio sbarrato da un albero che occupa tutto il fiume, ci fermiamo a malapena, sbarchiamo e cerchiamo di capire, sembra si passi, dopo l'albero una curva con altri due o tre tronchi che sporgono abbondantemente. Tutto sommato, pensiamo, visto che siamo a terra, tiriamo su la canoa e la trasportiamo per alcuni metri, rimettendola in acqua alla fine del tratto pericoloso... neanche a farlo apposta subito dopo troviamo un altro ostacolo, quasi ci rovesciamo ma passiamo, altro che Indiana Jones, la canoa è piena di foglie e rametti, ed all'orizzonte si affacciano, novelle colonne d'Ercole, le gabbie di sassi che formano le protezioni alla massicciata dell'autostrada. Beh, adesso conosciamo il tratto che abbiamo davanti, sappiamo cosa ci aspetta, ci rilassiamo e ci lasciamo andare giù con calma, salvo la curva di Frozza non ci sono altri problemi. Quasi. Infatti, quando arriviamo al “ferro di cavallo” lo troviamo quasi sbarrato, passiamo piano sotto riva, ma qualche spina ce la becchiamo. Infine, passato il ponte di Cimpello il Fiume cambia, la corrente rallenta e tocca pagaiare. Arriviamo infine a Fiumesino, le “bove” sbarrano il passo, il rumore del salto incute un certo timore per cui ci fermiamo a debita distanza, sbarchiamo, trasportiamo la canoa fino al vecchio mulino, la carichiamo sulla macchina e torniamo a casa.

Da lì abbiamo iniziato ad andare sul Fiume tutti i sabati, nel periodo estivo, allungando il percorso, partendo da Zoppola, dagli allevamenti di trote che stanno a fianco della Pontebbana e scendendo fino a Fiumesino o fino a Tiezzo, trasbordando la canoa a spalle a Fiume Veneto ed a Fiumesino, recuperando esche per Gegè (credo che di piombi da temolera ne abbia ancora, solo che oggi non ci sono più i temoli), perfezionando la guida della canoa e... cominciando a vedere quanto ci mettevamo. In principio una necessità, per calcolare dove andare, poi un sottile spirito agonistico. La nostra era diventata ricerca del tempo.

Sarà stato l'ottantacinque, il Bob non si era ancora morosato con l'Antonella, da due sabati ci toccava di trasbordare anche a Pescincanna, troppa acqua, non si passava sotto al ponte, partiamo da Zoppola, il primo tratto lo facciamo bene, arriviamo a Pescincanna e ci pare che si passi, ci sdraiamo e passiamo sotto al ponte, via. Cominciamo a pensare alle due ore e trenta che era il nostro “primato” e dai che proviamo a farlo in meno. Curva dopo curva scivoliamo verso Fiume, ci arriviamo, trasbordiamo sotto alle “bove”, saliamo e via di nuovo, arriviamo ai passaggi stretti prima dell'autostrada, li passiamo prudenti ma decisi, giù, in certe curve andiamo quasi in testacoda per la foga, fino a vedere le “bove” di Fiumesino, due ore e ventiquattro minuti.

Non abbiamo mai fatto meglio di così. Il Bob si sposa con l'Antonella, cambiano le priorità, la canoa rimane più spesso nel fienile, ma il volo del rigogolo, il temolo pescato con le mani, la polvere dei platani che ti fa tossire, il tarabusino che si mimetizza talmente bene da sembrare una foglia di mais secca mentre ti segue con l'occhio e l'odore dell'acqua sono impressi nel cervello. E pian piano si fa strada la coscienza che quel francobollo di territorio che percorrevamo così spesso avevamo imparato a conoscerlo metro per metro. Ed era ormai parte di noi.