Bob (Roberto) e Valte
Agosto 1983
Primo giorno, da Portegrandi agli Alberoni
Finalmente ci siamo, dopo tanti ragionamenti, dopo essere andati a Venezia per trovare una carta della laguna decente, scoprendo quei posti che di solito non si girano, e dopo che sono rimasto bloccato sul divano da una infiammazione alla caviglia per tre settimane, alle cinque di mattina arrivo a casa del Bob e, cercando di non fare troppo rumore, carichiamo la canadese sul suo Diane e partiamo. San Stino, San Donà ed infine Portegrandi.
Stiamo discendendo il Silone, un tempo questo era il corso del Sile che sfociava in laguna. La Serenissima scavò un canale per far sboccare il Sile direttamente in mare, al Cavallino. Lo stesso fece per altri corsi d'acqua, non si voleva che i detriti trasportati dalle piene venissero piano piano a colmare la laguna, demolendo il primo bastione difensivo di Venezia, l'acqua.
In realtà non è a questo che sto pensando, la mente vaga distrattamente mentre il vero scopo è quello di capire dove siamo, di prendere le misure a questo ambiente che sembra immobile, mentre la luce del sole si alza e ci imbattiamo in una barca di pescatori.
Non si sentono parole, tutto funziona con automatismi che si vede sono stati affinati in anni di lavoro, i pesci ancora guizzanti vengono tolti dalla rete, man mano che questa viene recuperata.
Proseguiamo, finalmente arriviamo al Torcello, ormeggiamo lungo il canale che entra nell'isola e facciamo quattro passi. Non ci sono ancora i turisti, il sole rallegra lo spirito, pochi i rumori.
Sembra di essere invisibili, la vita continua lungo le sponde, il pescivendolo pulisce un'anguilla, la signora esce e rientra dalla porta di casa, poche persone si accostano alla barca di un ambulante.
In questi posti più che in ogni altro luogo percepiamo il rovesciamento della prospettiva, il guardare le calli dal livello dell'acqua ci da un effetto straniante, un pò come guardare la terra da un altro mondo.
È un'isola quasi interamente occupata dal monastero dei francescani. C'ero stato in gita quando ero alle media, ricordi sfocati, ma mi pareva un bel posto. Ci arriviamo in poco tempo, sbarchiamo ma poi... sembra chiuso... cosa facciamo? Ci guardiamo, siamo in costume da bagno, non ci sembra il caso di andare a bussare alla porta . Vabbè, ripartiamo, pagaiando nei bassi fondali della laguna, fuori dai canali navigabili, arriviamo a Murano, non un grande posto per arrivarci in canoa, non sappiamo dove sbarcare, non sappiamo se possiamo lasciare la canoa da qualche parte, ripartiamo, verso sud, per andare sull'isola delle Vignole.
E qui cominciamo a capire il respiro della laguna, la marea calante ci lascia poco fondale, nella parte ad est di Venezia, al di fuori dei canali navigabili la profondità media della laguna è inferiore al metro, in certi momenti dobbiamo zigzagare cercando il passaggio.
Bob, in ginocchio sulla panca della canoa cerca di individuare il passaggio buono.
Ci stupiamo di trovare un'isola apparentemente disabitata e selvaggia, probabilmente è ancora zona militare, infatti, guardando sulla carta, vediamo che sul lato meridionale c'è un idroscalo. Ci prepariamo un pò da mangiare e ci riposiamo per un'oretta. Stiamo pagaiando dalle sei e mezza del mattino, ma siamo talmente presi da un misto di curiosità eccitazione e preoccupazione che non ci sentiamo stanchi.
C'è un traffico incredibile di barche, vaporetti, lancioni di turisti, le onde sono alte e fanno una certa impressione. Aspettiamo un pò, poi, attraversiamo a tutta forza, quando siamo sulla cresta dell'onda vediamo il mondo, quando siamo nel cavo vediamo solo acqua intorno a noi.
È un canile, ci sono cani che abbaiano dappertutto, all'orizzonte si profila Poveglia. Mentre ci dirigiamo verso l'isola, ci passano davanti alcuni gondolini che si stanno allenando per la regata storica, non distinguiamo il colore, perchè sono in controluce, ma filano velocissimi sull'acqua ed in poco tempo sono distanti.
Al solo pensiero dei rovi gli credo sulla parola. Ripartiamo, di nuovo verso l'isola del Lido, e, quando siamo in prossimità della riva, un signore che se ne stava li a guardarci ci fà: “ndoe ndeo co quel scorso de nose?” Stiamo cercando un posto dove piantare la tenda per stanotte, “allora vegnì da mi, xe tutto serà coa rete qua ntorno”.
Detto fatto, sbarchiamo e portiamo tutto, canoa e masserizie nel cortile, piantiamo la tenda e ci prepariamo un pò di cena.
Poi riappare il nostro ospite, che evidentemente ha voglia di chiacchierare e ci racconta che lui ospita sempre dei tedeschi, tutte le estati da tanti anni, sempre gli stessi, e che ha una capanna dove loro si sistemano e poi vanno al mare e, se abbiamo già mangiato, andiamo con lui agli Alberoni. Prendiamo l'autobus con lui che insiste a pagare, “parchè gò a carta venessia mi, e pago poco”.
Gente che arrotonda lo stipendio, la lotta per accaparrarsi i posti migliori dove ormeggiare le barche, un piccolo universo racchiuso in pochi metri. A dormire, che domani c'è altra acqua da fare.
Secondo giorno, dagli Alberoni a Murano
Al mattino ci svegliamo abbastanza presto, smontiamo la tenda, facciamo colazione, e poi, salutato e ringraziato il nostro ospite, ripartiamo in direzione di San Piero in Volta. Dopo pochi minuti un grido ci fa voltare, è sempre lui, l'uomo che ci ha ospitato e di cui non sappiamo neanche il nome, che ci insegue in bicicletta.
Altri ringraziamenti e via di nuovo, passiamo in mezzo ai grandi allevamenti di mitili che si trovano nella zona tra Alberoni e Malamocco.
Incredibili sequenze di cavi sostengono i fili a cui sono assicurati i mitili, se a qualcuno piacciono le foto ricche di elementi grafici e simmetrie qui può perdersi per giorni.
Ancora distanti cominciamo a vedere dei tetti, poi, più vicini qualcosa di chiaro in mezzo alla folta vegetazione, un cartello, ci avviciniamo e “proprietà privata, divieto di accesso” ci manca solo “andatevene, siete poveri, sporchi e puzzate”.
Nella notte ci sveglia un temporale, non molto forte, ma il vento fa sollevare un picchetto male impiantato nel terreno, usciamo e sistemiamo alla meglio.
Si torna a dormire.
Al mattino, ripartiamo e, prima di lasciare Murano ci facciamo un giro in centro. Su una riva due uomini stanno pescando, uno racconta all'altro di suo figlio, militare al circolo ufficiali e della supponenza di questi ultimi, l'altro gli dice “scoltime, dighe che, prima de metare el riso, el tira un bel spuon, almanco el se diverte”.
Usciamo da Murano, puntiamo di nuovo verso Mazzorbo, pagaiando di fianco al canale navigabile. Le motonavi ed i vaporetti che fanno linea verso Burano sollevano una discreta onda, ma oramai ci abbiamo fatto l'abitudine.
Arriviamo all'imbocco del canale di Mazzorbo e, invece di proseguire, ci infiliamo in un canaletto sulla sinistra che, fiancheggiato da tamerici, costeggia una zona ad orti.
Siamo arrivati, il Diane è lì che ci aspetta, scendiamo, scarichiamo tutta la nostra roba, diamo una lavata alla canoa e la carichiamo sopra la macchina.
Poche parole, il gusto di avercela fatta e il dispiacere che sia durata poco, pensieri un poco confusi che rimuginiamo mentre rifacciamo all'indietro la strada verso casa.